Abbeccedario verde. P come prati - Reportpistoia

2022-09-03 01:58:25 By : Mr. Brave manager

Cosa hanno in comune il lifting di un volto e il tema di oggi dell’Abbeccedario? Prati perfettamente rasati e chirurgia estetica hanno alla base lo stesso tabù, quello del tempo che si vorrebbe fermare, fino a non morire mai.

Il prato, e le piante erbacee in generale, sono infatti uno strumento magico: riescono a rendere visibile la quarta dimensione, il tempo. In alcuni orti botanici ci sono dei bambù (un po’ cresciuti ma comunque “erbe”) nei quali è stato misurato un accrescimento di 120 cm in un solo giorno e può succedere durante una visita di verificarne la crescita dal vivo.

Ma come le erbe possono accelerare il tempo, così lo possono anche congelare in un presente senza fine: «le monotone ore passate al tosaerba […] mi fecero venire in mente che, nel prato, il tempo non esiste, perché l’erba non muore mai, né le si permette di fiorire o andare a seme. I prati rasati sono una espressione della natura “purgata del sesso e della morte”. Nessuna meraviglia che agli americani piacciano tanto».

Queste le parole di Michael Pollan, scrittore statunitense che nelle sue opere mette in discussione tutti i nostri stereotipi, dai giardini perfetti alle diete che assicurano benessere e felicità. Pollan, in “Una seconda natura” (Adelphi 2016), esamina e demolisce il cliché dei perfetti prati che fronteggiano le migliaia di perfette casette unifamiliari americane, perfettamente rappresentate da Peter Weir nel film The Truman Show (1996), ambientato nella ideale cittadina di Seaheaven, che però esiste davvero ed è la Seaside di vacanze e pensionati in Florida.

I prati oggi vengono comunemente associati al decoro urbano di città e di case, al tempo libero e ricreativo e alle attività sportive (calcio, rugby, sci e soprattutto golf), organizzati in spazi verdi più o meno artificiali. Quando queste superfici vegetali vengono sottoposte a tagli molto bassi e ripetuti con alta frequenza si parla di tappeti erbosi, e per la loro buona riuscita è opportuno siano composti da poche specie adatte a tali operazioni di taglio. Si distinguono specie microterme con temperature ottimali fra 10 e 20°C e buona umidità, e macroterme che invece prediligono temperature più alte (25-35°C) e sopportano maggiore aridità. Le specie più diffuse fra le microterme sono dei generi Agrostis, Festuca, Lolium e Poa; fra le macroterme Cynodon, Paspalum, Pennisetum, Stenotaphrum. In commercio si trovano miscugli, quasi sempre da produttori del nord Europa o Stati Uniti, non particolarmente adatti ai nostri climi, ambienti che, a parte alcuni casi più favorevoli, non sono tendenzialmente adatti al mantenimento del tappeto erboso: i lunghi, caldi e aridi mesi estivi devono essere tamponati da apporti idrici poco sostenibili e sono comunque poco graditi dalle specie più diffuse. Solo in zone contraddistinte da buona piovosità ben distribuita durante l’anno o umidità di fondo, si possono mantenere tappeti erbosi naturalmente rigogliosi, senza esagerati input energetici. I giardini all’inglese più belli, nei quali i prati curati sono essenziali, si trovano infatti in determinate zone d’Italia quali la Lucchesia o il Verbano dove cultura e natura li hanno generati e mantenuti.

Questa moda di prati curatissimi dura orma da due o tre secoli, ma prati e praterie esistono da centinaia di migliaia se non milioni di anni, legati alla orografia e alla pedologia, dove cioè lo scarso suolo disponibile e le condizioni climatiche avverse non hanno permesso lo sviluppo e l’attecchimento di vegetazione arborea e arbustiva. Tundre, savane, pampas, praterie alpine, zone umide, ovviamente con specie di piante molto diverse da ambiente ad ambiente, si presentano con una copertura vegetale che per gli animali erbivori può essere un vero e proprio paradiso. Tutte queste aree sono infatti legate alla vita, al pascolo e alla domesticazione degli animali, quando gli uomini andavano dietro alle mandrie di animali, che a loro volta seguivano la crescita dei prati, diversificata nel tempo e nello spazio. Qualcosa di tali forme di vita e attività rimane ancora nel mondo di oggi, specialmente dove le attività agricole e pastorali sono ancora preponderanti. Qui da noi ne rimane traccia con la transumanza e le praterie collegate dagli antichi tratturi.

I cosiddetti prati stabili, meglio definiti come prati permanenti seminaturali, sono soprassuoli creati nel corso di migliaia di anni dalla natura e dall’uomo, formazioni erbacee che non hanno subito lavorazioni profonde (arature o erpicature) e che sono mantenute tali esclusivamente attraverso il pascolamento, lo sfalcio e l’eventuale concimazione. Per il loro mantenimento, l’attività antropica attraverso l’allevamento di erbivori è fondamentale; in tutta Europa occupano una superficie equivalente a quella dell’intera Francia e i più floridi si trovano in Irlanda, Spagna e Portogallo. Oltre che per l’alimentazione degli animali che se ne nutrono, sono importantissimi per mantenere la biodiversità, sia vegetale che animale. In Italia, la superficie oggi occupata dai prati stabili è pari a circa 30mila chilometri quadrati (3 milioni di ettari), ma negli ultimi 40 anni ne abbiamo persi più di un quarto. Le cause? Nelle zone di pianura principalmente l’urbanizzazione e l’industrializzazione dell’agricoltura, mentre in collina e montagna è stato il fenomeno opposto: l’abbandono, la fine dell’attività antropica e degli allevamenti, così gli erbivori non pascolano più i prati e la natura si riprende i propri spazi. I prati stabili non devono essere confusi con i prati avvicendati, ossia con quelle colture che assieme al mais, al frumento, alla soia e altri seminativi, costituiscono le fasi delle rotazioni, per i quali si usano soprattutto trifoglio ed erba medica.

Studi condotti sui prati stabili rivelano che per ettaro si contano tra le 60 e le 80 erbe diverse, di tipo stagionale. Non crescono mai tutte in una volta, ma si manifestano in varie fasi dell’anno.

L’80% sono graminacee e leguminose, ma sono numerose anche le specie prative di altre famiglie. Ci sono graminacee tipo il loietto che sono presenti nel primo sfalcio (maggengo), mentre il trifoglio, la pastinaca, il ginestrino e altre erbe le troviamo frequentemente al secondo (agostano) e terzo sfalcio (terzuolo). Quando si va verso la stagione più calda ce ne sono anche altre, come la cicoria e il ranuncolo, che tra agosto e settembre si riproducono e rigermogliano. A livello europeo, si stima che le specie vegetali presenti in prati e praterie siano da 1.500 a 2.000, e quelle animali che li abitano, ancora di più. Uccelli come l’allodola e le averle, rettili come lucertole e ramarri, insetti come farfalle, api selvatiche, grilli e mantidi, hanno bisogno dei vari strati del prato per vivere e riprodursi e la perdita di prati determina una riduzione di tutte le forme di vita collegate.

Molte delle più comuni erbe dei prati hanno anche un interesse alimentare umano, in quanto alcune loro parti sono commestibili. Con l’abbandono degli ambienti rurali si rischia anche la perdita di questi saperi popolari, e oggi si parla di recupero etnobotanico degli usi legati alle più umili piantine (i cosiddetti erbi): radici nella pastinaca e nel raperonzolo – bulbi e tuberi nel lampascione e nel favagello – foglie nel crescione, nella cicerbita e nel dente di leone

Con questo termine anglosassone, letteralmente “fiori spontanei”, in verità si intende una categoria molto più ampia e di difficile traduzione, tanto da essere ormai entrato anche nel corrente uso italiano: specie erbacee annuali e perenni, adatte a essere seminate in miscuglio per la costituzione di prati misti gestiti in modo sostenibile; con questo termine, inoltre, si intende sia l’organo “fiore” che la pianta intera che lo porta. I wildflowers si affermano nei parchi e giardini inglesi del XVIII secolo che dei meadows o prati spontanei fanno una tipologia paesaggistica portante, molto vicina al prato-pascolo, anch’esso rientrante in moltissime realizzazioni del periodo. L’affermazione odierna dei wildflowers è planetaria e dovuta soprattutto a usi e azioni di recupero e rinaturalizzazione di aree degradate rurali ed urbane, di tutela/conservazione della natura e di didattica ambientale. A livello concettuale, inoltre, questa tipologia di copertura vegetale costituita da specie spontanee e naturalizzate, è una ottima soluzione di continuità tra paesaggio antropizzato e paesaggio naturale, ottenuta sia nelle forme materiali percepite che dai modi di gestione (manutenzione ridotta, riduzione degli input esterni come irrigazioni e concimazioni). I prati spontanei sono molto diversi dai tappeti erbosi dei nostri giardini e parchi, ai quali chiediamo appunto di essere dei tappeti, più bassi, compatti e uniformi possibile, tanto che spesso sono ottenuti con una o pochissime specie vegetali. I wildflowers sono invece sempre misti e ricchi di moltissime specie diverse, per la loro bellezza e sviluppo esigono una crescita secondo le loro caratteristiche, di andare a fiore e poi a seme, in modo da potersi disseminare naturalmente. Ovviamente il passaggio da un tipo di prato all’altro (da tappeto erboso a wildflowers) non è banale, e implica una rivoluzione culturale vera e propria: significa accettare che ci siano stagioni e aspetti molto diversi, e spesso nel verde pubblico c’è ancora una forte ritrosia ad apprezzare tali variazioni, fra l’altro molto accentuate dai nostri climi mediterranei caldi e siccitosi.

Per concludere, come sa fare solo la grande arte, ecco un acquerello molto piccolo di Albrecht Dürer che cinquecento anni fa (1503), per celebrare il tema della bellezza insita nella natura più semplice, dipinge “La grande zolla”, oggi nel museo Albertina di Vienna.

Si allega un link per un articolo di approfondimento sui fiori spontanei, tratto dalla pubblicazione “Getta un seme” – Thema Edizioni, 2018 (https://www.ortobioattivo.com/libro-getta-un-seme-scaricabile-gratuitamente/)

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