A meno di clamorosi colpi di scena, non saremo mai in grado di tirare indietro le lancette dell’orologio della vita. La scienza però potrebbe riuscire è rallentarne quantomeno l’avanzamento.

Eliminare le cosiddette cellule senescenti all’interno del nostro organismo significherebbe promuovere una maggior durata della nostra salute e quindi della vita. E il segreto per farlo risiederebbe in un nascondiglio impensabile: l’acino d’uva.

Un gruppo di ricercatori dello Shanghai Institute of Nutrition and Health dell'Accademia cinese delle scienze ha fatto notare che entro il 2050 quasi 1,6 miliardi di persone in tutto il mondo avrà più di 65 anni e andrà così incontro a tutti le problematiche legate alla vecchiaia.

L’età cronologica, come sai, è il principale fattore di rischio per le principali cause di morbilità e mortalità a livello mondiale.

Sulla rivista Nature Metabolism tuttavia gli scienziati hanno descritto le potenzialità “anti-età” della procianidina C1, una sostanza polifenolica contenuta nell’uva potenzialmente in grado di ritardare, alleviare o prevenire le malattie associate all’età.

Le cellule senescenti, infatti, accumulandosi nel nostro organismo favoriscono l’insorgenza delle più comuni patologie legate all’invecchiamento e diversi studi hanno confermato che la loro eliminazione, in modelli murini, può rallentarne l'invecchiamento precoce e prolungarne la sopravvivenza.

I ricercatori hanno quindi analizzato le possibili applicazioni per la salute dell’uomo di tutta una serie di prodotti naturali scoprendo che l'estratto polifenolico di semi d’uva avrebbe effetti benefici sulle cellule senescenti dei topi.

Il PCC1 in sostanza sarebbe capace di uccidere in modo mirato le cellule vecchie presenti all’interno di diversi organi e tessuti.

L’idea è che migliorandone la funzionalità fisiologica, possa poi aiutare a tener lontano il declino geriatrico e cronico di determinate malattie e “allungare” quindi la vita.

Fonte | "Ageing: Anti-ageing effect of grape seed extract in old mice" pubblicata il 7 dicembre 2021 sulla rivista Nature Metabolism